OMELIA INIZIO GIUBILEO 2025

Festa della Santa Famiglia
29-12-2024

La luce del Natale del Signore ci avvolge in maniera tutta particolare questa sera, mentre diamo inizio nella nostra Chiesa diocesana al Giubileo ordinario del 2025. Ci uniamo ai tanti fratelli e sorelle che in ogni parte del mondo in queste ore vivono il momento di grazia dell’apertura di un Anno speciale, voluto dalla Chiesa per radicarci sempre più nel mistero di Cristo, fonte di speranza per tutta l’umanità. È un tempo di rinnovamento che, purificando il nostro cuore, ci permetterà di credere sempre più nell’amore di Cristo, il quale: “dilexit nos!” (Rom 8,27). Sì, Lui ci ha amati per primo e ci ama per sempre: “il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia” (DN 1). Grazie a Lui “abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha per noi” (1Gv 4,16) e in Lui siamo diventati figli! Che grande consolazione aver ascoltato poc’anzi dalla bocca dell’apostolo Giovanni: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1).

Carissimi, questa sera, come figli di Dio, amati e custoditi dalla sua Provvidenza, siamo raccolti nel Cuore della Trinità, la famiglia divina nella quale siamo stati innestati il giorno del nostro Battesimo, per celebrare le meraviglie che il Signore ha compiuto nella storia, entrandovi pienamente attraverso l’Incarnazione del Verbo. Proprio per aver assunto la nostra carne mortale Egli si è unito ad ogni uomo, per renderlo partecipe della natura divina e della certezza di una gioia senza fine nel suo abbraccio eterno: “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3, 21). È questa la meta della nostra vita; è questa la nostra speranza, che dà luce e consolazione a noi pellegrini nel tempo! In cammino verso l’incontro colmo di stupore con il Padre che è nei cieli: questa è la vocazione di ogni uomo e di ogni donna che viene nel mondo. E ciò avverrà se seguiremo Cristo, via, verità e vita (cf Gv 14,6), Lui Alfa e Omega della storia, al punto tale da computare dalla sua nascita lo scorrere del tempo. L’Anno giubilare appena iniziato ci porta perciò a contemplare l’evento della nascita del Salvatore e a riconoscerlo come sorgente di salvezza. Con il salmista, accogliendo tra le nostre braccia il divino Bambino, con gli occhi colmi di stupore, diciamogli: “Sono in te tutte le mie sorgenti” (Sal 86,7). Sì, carissimi, tutto ci viene da Lui: “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia” (Gv 1,16). Per questo “a quanti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

La Liturgia che stiamo celebrando ci porta a sostare, in questo momento di inizio dell’itinerario giubilare, con il segno perfetto dell’amore trinitario nella storia: la santa Famiglia di Nazaret. Maria, Giuseppe e Gesù, anche se avvertiamo la distanza tra la loro santità e la nostra fragilità, nell’armonia dell’amore familiare, sono un vero modello di vita per tutti noi chiamati a realizzare la pienezza di umanità all’interno delle nostre famiglie. Abbiamo chiesto nella preghiera liturgica che, proprio contemplando la bellezza limpida e serena delle loro relazioni, anche nelle nostre famiglie possano fiorire le stesse virtù e lo stesso amore. Questo vogliamo chiedere anche per la grande famiglia ecclesiale, a cui noi tutti apparteniamo, per l’anno che iniziamo. Come loro e con loro facciamoci pellegrini insieme alla grande carovana dell’umanità, che percorre i sentieri della storia. La santa Famiglia, nella fedeltà alla legge del Signore, aveva come meta Gerusalemme per partecipare all’offerta della Pasqua; noi, in una solidale comunione di vita con gli uomini e le donne di ogni razza, cultura, lingua, religione, abbiamo come meta la costruzione del Regno di Dio.

Nel brano evangelico vediamo Maria e Giuseppe che, fedeli alla tradizione ebraica. si recano al tempio per la festa di Pasqua. Con loro, per la prima volte, vi è Gesù. Tale pellegrinaggio lo leggiamo oggi non solo come un adempimento rituale a cui gli Ebrei erano tenuti, quanto piuttosto come un paradigma del nostro cammino di fede, come metafora dell’esperienza credente. Come loro, anche noi siamo chiamati a metterci in cammino, a lasciare le nostre abitudini, le nostre sicurezze, per andare incontro al Signore. Fidiamoci di Lui e riconosciamo la sua presenza nella nostra esperienza quotidiana. Egli non ci lascia soli e non ci abbandona: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Come Maria e Giuseppe nel racconto evangelico, anche noi possiamo sperimentare momenti di smarrimento e di incertezza – è normale! La fede diventa allora la lampada che, posta nelle nostre mani, ci guida a ritrovare in Gesù la fonte della nostra speranza. Il vero senso del pellegrinaggio cristiano è qui: siamo in cammino verso Cristo, certi che Lui si è mosso per primo verso di noi, chiedendoci di accoglierlo nella nostra vita: “Ecco, sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

Come sarebbe bello se tutti noi, in questo anno giubilare, avessimo la porta del nostro cuore aperta, anzi spalancata, per accogliere Gesù. Quanta gioia egli verrebbe a donarci! Pensiamo all’esperienza di Zaccheo, di Levi, della donna adultera, del centurione romano: gli esempi, di ieri e di oggi, potrebbero continuare all’infinito. Tutti hanno avuto la vita cambiata radicalmente da quell’incontro. Tutto cambia quando Gesù viene a fare festa con noi! Accoglierlo significa anche entrare nel suo Cuore per immergerci nell’oceano infinito della sua misericordia. Il suo fianco aperto sulla Croce è la porta da attraversare per giungere al suo Cuore, fornace ardente di tenerezza, mitezza, bontà, amore. Entrare nel Cuore misericordioso di Cristo attraverso il suo fianco aperto è anche attraversare la porta stretta della conversione personale. Non si incontra Cristo se manca il rinnovamento della vita. La conversione diventa perciò il frutto più maturo del pellegrinaggio giubilare. Coltivare l’umiltà del cuore, ritornare all’essenzialità, ridare il primato a Dio nella vita, non più ripiegati su noi stessi ma sulle ferite del nostro prossimo: questi sono i segni che la nostra conversione è autentica. Lo stesso dono dell’indulgenza giubilare acquista senso e significato solo nell’ottica di una conversione che abbraccia tutti gli ambiti dell’esistenza; altrimenti è solo uno sterile atto esteriore di pietà che non lascia tracce nella nostra vita. Andare a Roma e varcare le porte sante delle quattro basiliche patriarcali, o visitare le nostre due Chiese Cattedrali, possono ridursi a mero folklore religioso, se non sono accompagnati dalla decisa volontà di dare una svolta radicale alle scelte quotidiane.

Toccati dalle scintille d’amore del Cuore di Cristo, riconosciamoci peccatori e con il salmista diciamo anche noi: “Il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto” (Sal 51,5-6). La consapevolezza del nostro peccato ci porti poi a compiere il segno sacramentale della Riconciliazione. La confessione dei nostri peccati è la porta che ci introduce alla vita nuova dei figli di Dio, è la nostra risurrezione ed è l’inizio di una vita segnata dalla speranza. Rivestiti di speranza, che è certezza dell’amore di Dio che mai viene meno, la fede si irrobustisce e la carità spinge a scelte eroiche di prossimità e di solidarietà con tutti, senza esclusione di sorta. Capiamo allora l’esortazione di San Paolo ai cristiani di Roma ad essere “lieti nella speranza” (Rom 12,12). La gioia nasce dalla speranza e la speranza alimenta la gioia. Speranza e gioia, in un connubio perfetto, danno il coraggio per lottare e vincere il male con il bene. “Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Is 40,31): queste parole del profeta Isaia ci aiutino a farci pellegrini di speranza, non solo in questo anno, ma sempre. Accendiamo la speranza nei cuori spenti e seminiamola a piene mani non con parole vuote ma con gli umili segni alla portata di tutti: un sorriso che accorcia le distanze, mani che si stringono, braccia che si accolgono, carezze che inteneriscono, passi che si incontrano.

Carissimi, riscopriamo in questo anno giubilare il significato profondo del nostro essere popolo in cammino. È la nostra vocazione originaria, non dimentichiamolo! Ogni passo che compiremo, attraverso le iniziative che ci verranno proposte, viviamolo come una opportunità per rinnovare la nostra fede, per sperimentare la misericordia di Dio, per rafforzare i legami nelle nostre comunità. Il frutto dell’Anno giubilare deve essere la rinascita nello Spirito Santo di ciascuno di noi e delle nostre comunità. Solo così potremo divenire testimoni di speranza in un mondo che attende da noi discepoli di Cristo una ventata di novità evangelica. Non è questo, del resto, il fine dell’ultimo tratto del cammino sinodale che stiamo compiendo? La fase profetica che ci vedrà impegnati nelle prossime settimane è legata in maniera profonda con lo spirito autentico del Giubileo. Quanto verrà dal discernimento comunitario deve portare tutti noi ad essere seminatori di speranza perché nel cuore di ogni fratello e sorella che incontriamo nei diversi ambienti di vita spunti e cresca l’albero rigoglioso dell’amore di Dio. Tre parole che sintetizzano quanto ci attende: pellegrini, testimoni, seminatori di speranza! Mettiamoci allora tutti in cammino, carissimi, con gli occhi fissi sul Signore! Respicimus ad Dominum!

Maria, Madre della santa speranza, prega per noi! Fa’ fiorire nel cuore di chi è stanco, deluso, provato, la santa speranza! Amen.