Carissimi fratelli e sorelle,
come ogni anno siamo qui, davanti a questo nostro splendido mare, in attesa che attraverso la Sua Icona la Santa Madre di Dio venga, ancora una volta, a visitare la nostra città, a benedire i suoi abitanti e a indicarci, con la Sua mano, l’unica via che porta alla salvezza: il Suo Figlio Gesù, Signore del tempo e della storia.
La nostra memoria va a più di novecento anni fa quando, su una zattera, questa splendida Icona approdò sulle nostre coste. Non sappiamo l’origine certa di questa Immagine. Siamo certi, però, che essa ha attraversato il mare nostrum, per giungere qui a Monopoli e qui chiedere accoglienza. E con quanta gioia i nostri padri L’accolsero!
Sembra una storia molto simile a quella di quanti, in cerca di una speranza per il domani, solcano le onde di questo mare per trovare serenità, pace e futuro nella nostra terra, dopo aver lasciato luoghi infernali di sofferenza inaudita a causa di guerre o di disastri ambientali, che portano desolazione e morte. Noi non immaginiamo minimamente quel che questi nostri fratelli hanno lasciato alle loro spalle!
E così, questo bel mare che abbiamo dinanzi a noi – e che viene scelto da tanti anche come luogo di relax e di meritato riposo – tra poco, ancora una volta, ci porterà l’amata Icona di Maria. Sì, esso – il nostro mare – si manifesta ancora una volta come crocevia di gioie e dolori, di fatiche e speranze, diventando, così, immagine della vulnerabilità e della grandezza di ogni uomo, ricco o povero che sia.
Il mare è un luogo ricco di suggestioni. Lo dicono anche tante pagine della Sacra Scrittura. Pensiamo solo al racconto evangelico ascoltato ieri durante la Messa domenicale. L’immagine di Gesù che cammina sulle acque o che calma la tempesta sono l’evidente segno della signoria divina del rabbì di Galilea, capace di dominare anche le potenze più oscure, che le forze del mare richiamano.
Non a caso papa Francesco ha utilizzato proprio l’episodio della tempesta sedata, nella versione dell’evangelista Marco, per riferirsi, in quella memorabile serata del 27 marzo 2020, alla crisi pandemica dalla quale, con tanta difficoltà, siamo usciti, e al senso di impotenza, sconforto e paura che vive l’uomo di oggi. Questa stessa metafora dà anche la possibilità di esplicitare un aspetto che dovrebbe essere al primo posto nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo: la vulnerabilità del creato e la sua stretta connessione con la vulnerabilità dell’uomo.
La crisi ecologica ci sta mostrando cosa può succedere quando si perde di vista questo legame inscindibile. Il nostro pianeta è così fragile da poter essere ferito anche semplicemente dall’atteggiamento imprudente e superficiale di uno solo dei suoi abitanti. Penso qui a quegli irresponsabili piromani che appiccano il fuoco innescando incendi distruttivi. Più il pianeta subisce ferite e diventa vulnerabile, più l’uomo ne patisce inevitabili e, spesso, dannosissimi contraccolpi. Non dovremmo mai dimenticare che c’è una profonda interconnessione tra l’uomo e l’habitat in cui egli vive!
Per sanare queste ferite e ricomporre questo conflitto occorre che ciascuno di noi si faccia carico di quella «ecologia integrale» suggerita da Francesco in Laudato si’, che richiede la maturazione di almeno tre atteggiamenti fondamentali che, questa sera, vorrei affidare a ciascuno di noi, proprio mentre una donna, vulnerabile come noi, Maria, attraversa le nostre acque, anch’esse esposte a innumerevoli rischi ambientali.
I tre atteggiamenti che aiutano a confrontarsi con la vulnerabilità per gestirla sono: attenzione, empatia e compassione. Anzitutto, prendersi cura della vulnerabilità significa essere attenti ai bisogni degli altri, nessuno escluso, significa uscire dal proprio io per incontrare il noi, nel cui abbraccio ci sono tutti gli uomini e le donne, nessuno escluso, al di là «delle diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua, espressione queste diversità di una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani» (cf. Documento sulla fratellanza umana). Avere uno sguardo che accoglie e non disprezza! Il secondo atteggiamento, l’empatia, è l’intrecciarsi di esperienze, sensazioni ed emozioni che permette la comprensione dell’altra persona creando sentimenti di fraternità. Infine, l’ultimo atteggiamento – la compassione – è espresso da un termine spesso travisato rispetto al suo significato etimologico: compatire, infatti, è letto come sinonimo di commiserare, nel senso di provare pietà nei confronti di chi soffre. In realtà, la compassione va ben oltre: si tratta di “soffrire insieme”, provare le stesse emozioni e gli stessi sentimenti – di dolore o di gioia – che l’altro prova.
Spetta, pertanto, all’uomo vulnerabile prendersi cura del cosmo vulnerabile, iniziando dal maturare profondi e convinti atteggiamenti di attenzione, empatia e compassione; ossia, in altri termini, a partire da una autentica fratellanza tra uomini che, riconoscendo la propria fragilità e quella del pianeta intero, sanno mettersi insieme per guardare con sguardo critico la realtà, scardinare coraggiosamente le “strutture di peccato” che vi si trovano e aprire nuove strade che promuovano la dignità dell’uomo stesso e dell’ambiente in cui vive. Si tratta, in definitiva, di promuovere quell’autentica “cultura ecologica” che Francesco, nella Laudato si’, chiede accoratamente di vivere come improrogabile necessità per la custodia di sé e del creato.
Quali passaggi possibili? Quali proposte concrete indicarti, amata comunità di Monopoli, per far crescere ciascuno dei tuoi figli in una maggiore responsabilità verso la casa comune? Tu, visitata e benedetta da Maria, non puoi rimanere indifferente dinanzi alle ferite inferte alla nostra madre terra. Ispirandomi alla Laudato si’ ne indico due.
Il primo passaggio si potrebbe riassumere in un ritorno alla semplicità e alla sobrietà. Il Papa, infatti, rileva che in una società dedita al consumo, come la nostra, spesso si smarrisce il gusto delle cose semplici e l’ammirazione per la bellezza del creato, da cui ogni giorno siamo circondati. Il dilagare, soprattutto tra i giovani, di fenomeni depressivi e, talvolta, suicidari è probabilmente il segno di una perenne insoddisfazione che coglie chi ha tutto e pensa di non aver più bisogno di nulla. È la schiavitù dalle cose. Tale ritorno alla “sobrietà”, invece, è sinonimo della capacità di godere delle “piccole cose”, è un ritorno alla semplicità, che ci permette di essere grati per ciò che siamo e che abbiamo, di non rattristarci per ciò che invece non possediamo.
Un secondo passaggio lo colgo nell’invito che Papa Francesco rivolge ad una sempre più necessaria educazione alla responsabilità ambientale che parta dai piccoli e semplici gesti quotidiani. Il Santo Padre, nella Laudato si’, ne elenca alcuni, alla portata di tutti, e che raccomando a tutti noi: evitare l’uso della plastica, ridurre i consumi di acqua, differenziare i rifiuti, rispettare gli altri esseri viventi, non sprecare il cibo, piantare alberi e vigilare perché non si inneschino incendi e così via (cf LS, 211). Sappiamo bene quanto queste tendenze e sensibilità, seppur a fatica, si stanno facendo strada nella nostra società contemporanea. Si tratta, in realtà, di semplici azioni quotidiane, che possono diventare abitudini importanti, al fine di realizzare una vera e propria “cittadinanza ecologica”.
In conclusione, davanti allo smascheramento delle fragilità umane e delle vulnerabilità dei nostri ecosistemi, a cui assistiamo inermi ogni giorno, l’unica strada percorribile sembra essere quella di pensare e di agire in modo nuovo, abbandonando vecchie e pericolose abitudini del passato per abbracciare, piuttosto, un autentico stile di cura capace di farsi carico della vulnerabilità dell’ambiente e di ogni individuo, con il principale obiettivo di aprire strade nuove in cui sia riconosciuta e promossa la dignità del cosmo e di chi lo abita, secondo l’autentico progetto di Dio espresso nella creazione. In parole semplici: amare il creato come Dio lo ama! “Dio vide quanto aveva fato, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1, 31). È questo il segreto per una “conversione ecologica” a cui tutti siamo chiamati!
A te, o Maria, Madonna della Madia, ora mi rivolgo. Un giorno lontano approdasti tra noi solcando le acque del nostro mare. La tua dolce Immagine da quel giorno ha accarezzato con uno sguardo di tenerezza innumerevoli generazioni di monopolitani e di pellegrini che con fiducia di figli ti hanno invocato. Mai nessuno è rimasto deluso. Quanti segni prodigiosi hai compiuto! Hai aiutato a rappacificarsi con Dio chi viveva nelle maglie del peccato, hai sanato tante ferite, hai fatto rifiorire la vita lì dove abitava la morte. Hai dato il coraggio per affrontare le innumerevoli sfide che la convivenza umana portava con sé. In tanti hanno osato il di più grazie al tuo esempio di donna coraggiosa e intraprendente, di donna di fede e di speranza, capace di alzarsi in fretta e di andare lì dove la forza dell’Amore ti portava. Aiuta ora anche noi ad osare di più nella cura del creato, dono inestimabile che Dio ha fatto a tutta l’umanità. Dalle Sue mani creatrici è uscito il capolavoro che tutti ci accoglie. A noi egli ha affidato il compito di custodirlo e non di violarlo, di farlo fiorire e non di distruggerlo, facendo crescere tutti i semi di bellezza da lui posti nel grande giardino della creazione. Fa’ che ci educhiamo ai piccoli gesti quotidiani che dicono amore e rispetto, in uno stile di responsabilità verso gli altri e verso il mondo. Facci comprendere che per arginare il degrado che porta alla distruzione è necessario coltivare la bontà e l’onestà. Solo chi è buono e onesto con le sue scelte quotidiane sa servire questo splendido grembo di vita che è la madre terra. Portaci a scoprire la fecondità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi gesto che semini pace e amicizia. Sì, con i piccoli gesti di cura reciproca riusciremo a spezzare la logica della violenza, dello sfruttamento e dell’egoismo e renderemo bella la casa comune. Sii sempre con noi, o amata Madonna della Madia. Con te solcheremo il mare della storia per approdare nel Cuore di Dio, meta ultima del nostro cammino. Amen.